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IL CONGO E I SUOI FIGLI
L'attuale Repubblica Democratica del Congo, da molti conosciuta come Zaire od anche come Congo Belga, nome legato al periodo della dominazione coloniale, è sicuramente uno fra i paesi del continente africano più affascinanti, misteriosi, primitivi ed emblematici che si possa avere la fortuna di visitare. E' il paese dove l'Africa si manifesta in tutte le proprie contraddizioni, dove la coscienza di ognuno, se vuole, può fare i conti con le realtà del profitto senza scrupoli, della povertà, della violenza crudele e dell'umanità vera, senza i filtri dei giornali o della televisione, dove ci si può, sempre se si vuole, rendere conto di come la globalizzazione, tanto invocata, non cambi la vita degli ultimi o almeno non in meglio...
E' un paese che è grande quanto un quarto dell'Europa, che possiede un patrimonio di risorse naturali forse unico al mondo, del quale la maggioranza dei circa 60 milioni di abitanti non ha nemmeno la consapevolezza e da cui solo una piccolissima minoranza locale trae vantaggi, basandosi spesso sullo sfruttamento degli altri.
La sua storia, segnata da conflitti principalmente finalizzati al controllo delle sue immense ricchezze, passa attraverso l'invasione portoghese, la colonizzazione belga e la trentennale dittatura di Sese Seko Mobutu, terminata nel 1997. La cronaca recente deve registrare, dagli anni 90 ai giorni nostri, il più sanguinoso conflitto dopo la Seconda Guerra Mondiale, fomentato dall'invasione degli eserciti di stati confinanti e truppe mercenarie che hanno sostenuto e alimentato la guerra civile e gli scontri tra le componenti etniche delle province frontaliere. Solo da pochi anni il paese sembra aver intrapreso la faticosa e lenta strada di una democrazia, con lo svolgimento di libere elezioni che hanno portato, nel 2006, alla nomina dell'attuale presidente, Joseph Kabila e del parlamento. Alcune zone rimangono comunque insicure e la relativa tranquillità è garantita dalla presenza delle truppe della più grande missione dell'ONU al mondo, la MONUC, composta da circa 15.000 uomini, con un importante dispiegamento di mezzi in tutte le città principali città del paese. Garantiscono inoltre il trasporto aereo non soltanto per i soldati ed i funzionari ONU ma anche per i funzionari congolesi e per gli operatori umanitari internazionali, gestiscono anche tutto il funzionamento logistico dello stato e sono stati protagonisti nell'organizzazione e la gestione delle elezioni.
Il francese è la lingua ufficiale, ma nel paese si parlano più di duecento dialetti e quattro lingue: lo swahili nell'est, il kikongo nell'area tra la capitale e la costa, lo tshiluba al sud, il lingala lungo il fiume Congo. Circa il 75% della popolazione è cristiana, soprattutto di fede cattolica, ma numerosi sono anche i protestanti; diffusi sono i culti animisti e le forme di sincretismo religioso. Istruzione e sanità, entrambe di scarso livello, sono a pagamento, la scolarizzazione è comunque bassa, scoraggiata negli anni precedenti anche dagli arruolamenti forzati di minori effettuati proprio nelle scuole.
In molti dei paesi del continente più violentato al mondo, coesistono in genere due realtà, due sistemi economici e sociali diversi e paralleli, quello delle città e quello delle campagne. La Repubblica Democratica del Congo non fa differenza. Un terzo della popolazione congolese vive nei centri urbani e di questi circa 8-10 milioni in capitale, Kinshasa, città in rapida espansione e la rapidità è direttamente proporzionale al degrado. Milioni di persone attratte o spinte verso il sogno metropolitano danno così vita ad un insieme disordinato di colori, odori, sapori, suoni, voci, urla, negozietti, un esercito smisurato di disoccupati o sottoccupati, sfruttati, senza o con poca speranza nel domani; la vita delle città africane è, come detto, spesso simile e i gesti, le espressioni, le piccole dinamiche sociali, si ritrovano e si riconoscono, cambiano le lingue ma non i significati. La fuga dalle campagne, depauperate dalla guerra, spinge gli individui verso gli agglomerati urbani nella speranza di un benessere che raramente si trova e a dispetto di una frammentazione sociale e della tradizione: in città i rapporti tra le persone, i meccanismi di solidarietà, i concetti di famiglia allargata scompaiono e si trasformano con un conseguente impatto su tutto il tessuto sociale che ne risulta stravolto.
Kinshasa è adagiata sulle rive di quello che è simbolo e risorsa del paese, il fiume Congo che, per chi ha letto e amato “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, ispirazione per uno dei capolavori cinematografici di Francis Ford Coppola sulla guerra del Vietnam (Apocalypse Now), non può non suscitare ricordi e sentimenti legati ad un mondo cupo, primitivo, dove la sopravvivenza è legata al quotidiano, dove la speranza non è di vita ma giornaliera e dove l'istinto sembra prevalere sulla razionalità. Trovarsi di fronte a questa sconfinata massa d'acqua che scorre placida per più di 4.000 km, lenta autostrada per uomini e cose attraverso un paese senza strade, fa capire quanto per molte persone la vita sia effettivamente così e il limite tra la letteratura, la finzione cinematografica e la realtà scompare e si respira la natura in tutta la sua immensità e potenza; ci si rende conto di come il nostro concetto di “fiume” si stravolge facilmente, questo è “il fiume”, simbolo di vita e di morte allo stesso tempo, fonte di nutrimento e causa di distruzione, via di trasporto ma anche bara per migliaia delle vittime degli innumerevoli e sanguinosi conflitti, fonte di energia e di malattie, insomma emblema della vita quotidiana in Africa.
A Kinshasa poi ci sono i bambini, i ragazzini “della strada” (enfants de la rue) o i più fortunati, quelli che hanno un riparo per la notte, “in strada” (enfants dans la rue), che passano la loro vita tra lavoretti, furti ed espedienti vivendo e subendo la sopraffazione e lo sfruttamento. Stime sicure non ce ne sono ma si parla di oltre 20.000 solo nella capitale, infinita forza lavoro senza diritti e difese, un esercito di abbandonati che è uno dei risultati delle guerre, che solo negli ultimi decenni hanno lasciato sul terreno più di tre milioni di vite e dell'AIDS che ha mietuto vittime soprattutto nella “media età”. I minori di 18 anni, nella Repubblica Democratica del Congo, sono oltre 30 milioni (metà della popolazione totale) e i bambini sotto i 5 anni più di 13 di cui molti malnutriti ed ogni 1.000 nati vivi, 205 muoiono prima del 5° compleanno. Solo un bambino su 3 è vaccinato contro il morbillo, malattia altamente infettiva che è tra le prime cause di mortalità infantile. Oltre la metà dei bambini non viene registrato alla nascita e dunque privato d'ogni diritto di cittadinanza e solo una minoranza vive con i propri genitori.
Decine di migliaia di bambini vivono così nelle strade delle città della Repubblica Democratica del Congo e sempre di più sono quelli che vengono maltrattati e accusati di praticare la stregoneria (bambini stregoni). I bambini di strada sono vittime di abusi fisici, psicologici e sessuali, vengono maltrattati dagli adulti, incluse le forze dell'ordine, che li sfruttano violando i diritti umani di base ed il governo fa poco o nulla per proteggerli. Non è infrequente infatti che poliziotti corrotti usino e abusino dei bambini utilizzandoli come spie e informatori o per commettere reati e il Ministero dell'Interno periodicamente compie dei rastrellamenti nei luoghi di accattonaggio. Spesso i maltrattamenti più gravi sono commessi dai senzatetto più vecchi ma anche le persone comuni sfruttano i bambini di strada impiegandoli per lavori sottopagati o illegali, come la vendita di droga.
Guerra, disoccupazione, povertà, malattie, costi troppo alti per l'educazione e molti altri fattori hanno contribuito a far aumentare enormemente il numero dei bambini di strada…ma non basta, da qualche anno infatti si stanno formando le “famiglie di strada”, veri e propri nuclei familiari costituiti dai figli precoci degli stessi bambini e ragazzi di strada e quindi questo genere di vita tende a trasmettersi di generazione in generazione. A Kinshasa, all'interno del cimitero cittadino, si è costituito il venticinquesimo rione (abusivo) chiamato appunto Cimètiere e formato esclusivamente da senzatetto.
Le risorse del Congo, si è detto, sono immense ed oltre a quelle tradizionali come oro, diamanti, topazio, petrolio già abbondantemente sotto il controllo di aziende non congolesi (belgi, francesi, rwandesi, libanesi, cinesi ecc…), negli ultimi anni, è salito alla ribalta un nome nuovo, il Coltan presente soprattutto in Africa ed in particolare proprio in Congo, il cui sottosuolo fornisce l'80% della produzione dell'intero continente. Una combinazione di due minerali (colombite e tantalite) dall'aspetto di una sabbia nera e fangosa con qualche scintilla di luce, dalla quale si estrae il prezioso tantalio, metallo raro, molto resistente ed ottimo conduttore, contenente anche particelle di uranio, utilizzato nelle industrie aeronautiche e ricercatissimo dai produttori di cellulari, cerca-persone, computer, video giochi e ad oggi più costoso dell'oro. Dal 1999 al 2001 infatti il prezzo di un kg di Coltan è passato da circa 8 $ a 700 $, per poi calare di nuovo a partire dal 2001 fino agli attuali 40$ al kg che rappresentano comunque un ottimo affare per le compagnie sfruttatrici. Intorno a questa nuova risorsa si sono quindi combattuti e tutt'ora si combattono piccoli e grandi conflitti fomentati pare anche da organizzazioni criminali asiatiche ed europee che scambierebbero il minerale con armi. Anche le Nazioni Unite si stanno interessando alla situazione umanitaria nelle numerose cave a cielo aperto che sono spuntate nel paese e che oltre a danneggiare profondamente l'ecosistema (come nel parco nazionale di Kahuzi- Biega) sfruttano migliaia di bambini di strada, impiegati come economicissima forza lavoro e per la prostituzione tra gli operai; le più grandi di queste miniere raggiungano dimensioni “umane” inimmaginabili, dell'ordine di decine di migliaia di persone, ammassate e sfruttate in condizioni non controllabili da nessuno. Il relativo silenzio su questo enorme affare permette agli estrattori di non dover rispettare nessuna regola, né di garantire la tracciabilità del prodotto per la prevenzione dei mercati clandestini, come invece avviene per esempio per i diamanti…naturalmente con tutte le prevedibili eccezioni.
La goccia
La goccia versata dal NAAA, in questo oceano di necessità, è un piccolo progetto di recupero dei bambini di strada a Kalemie, cittadina di circa 150.000 abitanti, sulle rive del lago Tanganika. Kalemie, che i belgi avevano ribattezzato Albertville, è quasi una città marinara, con il suo porticciolo, la flotta di piccoli pescherecci che affrontano quotidianamente la pesca notturna su questo mare interno, le donne che al mattino puliscono il pescato, lo affumicano e lo rivendono al mercato, gli uomini che riparano le reti e i bambini che fanno da festante contorno. L'elettricità è un lusso di pochi giorni al mese, il colera e malaria sono endemici, la ferrovia è più un monumento che un mezzo di trasporto e i mezzi pubblici cittadini sono rappresentati principalmente da un esercito di motorette-taxi di fabbricazione cinese, guidate da ragazzini, molti ex-soldati. Non esistono strade percorribili da automobili e per raggiungere qualsiasi altra città è necessario utilizzare le molto poco sicure linee aeree interne. La popolazione oltre che dei prodotti della pesca, si nutre dei frutti di un terreno molto fertile ma ha dovuto abbandonare quasi completamente l'allevamento, una volta florida attività, a causa delle razzie e degli stermini perpetrati durante la guerra: gli unici scarsi bovini attualmente presenti appartengono a dei pastori di origine Rwandese, mal sopportati dalle etnie locali, che vendono la carne al mercato o al macello; per il fabbisogno dell'intera città sono abbattuti meno dieci capi al giorno!
I bambini di strada qui sono in numero decisamente minore che in capitale ma il fenomeno ugualmente esiste, hanno delle zone preferenziali dove si radunano, in particolare il mercato e il porto, anche per la maggior facilità di reperire cibo; la gente li scaccia per evitare i furti spesso commissionati dai ragazzini più grandi, non vanno a scuola, si lavano occasionalmente nel lago e hanno spesso ferite non curate.
Qui, sulle rive di questo stupendo lago, è nata la collaborazione tra il NAAA ed un'organizzazione non governativa locale, Human Dignity in the World, che ha dato vita ad un'iniziativa di sostegno all'infanzia abbandonata. Cinque operatori sociali, due uomini e tre donne, coordinati da uno psicologo e coadiuvati da una cuoca, una donna di servizio e saltuariamente da un infermiere tutti i giorni incontrano, parlano, aiutano alcuni dei bambini della città fornendo loro vestiti puliti, sapone ed organizzando attività ludiche e di alfabetizzazione. Dopo una prima fase di diffidenza i piccoli si sono abituati alla presenza degli animatori nei loro luoghi di ritrovo ed i più intraprendenti si spingono fino all'ufficio dove non è infrequente trovare al mattino qualche fagottino rannicchiato sotto le finestre. Da poco, grazie ad un accordo con le autorità locali, è stata assegnata al progetto una sede dove poter organizzare un centro di accoglienza diurno, nel quale fornire un servizio più continuo ed articolato ai minori. Al momento ne è in corso la ristrutturazione, con la costruzione di latrine e docce e l'allestimento di una cucina per la preparazione di pasti caldi. Parallelamente il team locale sta lavorando sull'accoglimento di alcuni dei bimbi abbandonati da parte o delle famiglie di origine o di nuclei di accoglienza; al momento ben tre bambini, due femmine ed un maschio di 12, 13 e 10 anni sono stati sistemati in famiglie ed in particolare Julie dovrebbe essere presto reinserita nella sua famiglia biologica.
Quando si osserva la situazione da lontano, dall'alto, nella sua globalità si ha veramente la sensazione di svuotare il mare con un secchiello bucato, di creare più squilibri che vantaggi ma ogni tanto forse vale la pena di scendere giù in basso, proprio tra i bambini, ed un sorriso sincero un grazie sentito, un attimo di felicità, restituiscono ancora un po' di senso ad un lavoro che regala emozioni come pochi altri.
I colori dell'Africa
I colori dell'Africa sono il nero il rosso e il bianco.
L'Africa è nera, nera come il dolore che scorre nelle sue vene, nera come la coscienza di chi l'ha ridotta al ruolo di una schiava da violentare, nera come i capelli dei bambini sfruttati, come la pelle delle donne abusate, come le spalle degli uomini dalla dignità calpestata; l'Africa è rossa come i tramonti spettacolari, rossa come la sua terra argillosa e fertile, materiale per capanne, utensili, maschera per i volti ma rossa anche come il sangue che ne pervade le vene, che ne ha intriso le viscere; l'Africa è il bianco dei sorrisi, della luce negli occhi dei bambini, il bianco del lutto e il bianco della festa.
La sofferenza dell'Africa è dovunque, nella acque inquinate, nelle terre avvelenate, negli animali imprigionati, sfruttati, picchiati, nelle carcasse di automobili, dentro le case, nel cibo, la sofferenza è l'Africa…e la speranza non c'è, è un sogno, è finita, è il sapone per la nostra coscienza, è la cura per gli africani per poter arrivare a sera e ricominciare. Sono nati per soffrire e fare di questa sofferenza la ragione di vita…nero, rosso e anche l'azzurro di un cielo indimenticabile e ancora bianco…ma il bianco è dei bianchi, è quello delle automobili delle organizzazioni umanitarie, quello dei mezzi blindati e degli aerei dell'ONU e dei sacchi di cibo lanciati dal cielo…il bianco se ne va, il nero resta, il bianco muove…scacco matto.